Chi lavora nel campo dell’enologia sa quanto sia difficile produrre vini bianchi che abbiano una buona shelf life, che non si ossidino facilmente e che siano stabili microbiologicamente
Uno dei principali elementi che caratterizza il gusto del un vino bianco è la freschezza, che però è difficile da mantenere quando questo prodotto deve raggiungere consumatori in tutto il mondo ed essere conservato a lungo.
I vini bianchi sono molto più fragili dei vini rossi in quanto sono più sensibili all’ossidazione, ma anche a deviazioni microbiologiche dovute principalmente a fermentazioni malo-lattiche indesiderate.
La tanto utilizzata anidride solforosa ad oggi rappresenta ancora l’unico additivo che capace di svolgere un’azione simultanea sia nei confronti delle ossidazioni che nel controllo microbiologico. Bisogna però ricordare che il mercato sta però seguendo trends che richiedono sempre più spesso vini a basso contenuto di solfiti, più naturali e salubri.
Bisogna quindi ideare nuove strategie in cantina per governare i due fattori che maggiormente alterano il risultato della vinificazione in bianco: l’ossidazione e le fermentazioni malo-lattiche spontanee.
I problemi della fermentazione del vino e dell’ossidazione
Non tenere sotto controllo la fermentazione malolattica e la deriva ossidativa del vino è un errore che potrebbe rovinare tutto il lavoro fatto dalla vigna all’imbottigliamento.
L’ossigeno inizia ad reagire con l’uva già dal momento della raccolta e, se non contrastata con metodi adeguati, l’azione ossidativa prosegue nel mosto (ancora più accentuata da enzimi ossidasici) e nel vino.
Un vino bianco ossidato si presenta di colore ambrato, con sentori tipici di questo processo che ricordano il Marsala o Madera, da qui i termini “marsalato” o “maderizzato”.
È evidente che sia il colore brunito sia le sensazioni gustative di “maderizzazione” devono essere contrastate nella vinificazione in bianco
La freschezza così come gli aromi, tanto ricercati dall’enologo nelle tecniche di vinificazione, possono essere modificati dal contatto con l’ossigeno, ma anche dallo spontaneo sviluppo di batteri lattici.
La fermentazione malolattica viene spesso favorita nella vinificazione in rosso, perché questo processo trasformando l’acido malico in acido lattico rende il gusto più rotondo. Quando si produce un vino bianco l’azione dei batteri lattici causa la perdita di aromi fruttati e floreali, che durante la degustazione danno la sensazione di freschezza tipica di questo prodotto.
Le soluzioni per avere vini bianchi stabili
Per avere un prodotto dal colore chiaro e, soprattutto, con caratteristiche organolettiche che evolvono lentamente, oltre a sfruttare l’azione antiossidante della solforosa (che però è meglio utilizzare in quantità limitate) e la chiarifica del vino, sono stati messi appunto prodotti per l’enologia che danno ottimi risultati senza avere difetti tipici di altri additivi.
Lo studio dell’azione del chitosano nel vino ha mostrato che questa sostanza di origine naturale provoca la riduzione dei metalli pesanti, la stabilizzazione proteica, ma soprattutto controlla lo sviluppo microbiologico.
Un esempio di additivo ideato per controllare l’ossidazione e la fermentazione malolattica è il chiarificante ideato dall’azienda Enologica Vason composto da chitosano naturale, ittiocolla e PVPP.
Di seguito un grafico che evidenzia l’andamento della fermentazione malolattica nel vino trattato con questo chiarificante:
Il chitosano, oltre a tenere sotto controllo la fermentazione malolattica (in questo caso addirittura inoculata ai fini della sperimentazione) riduce anche l’imbrunimento del vino bianco amplificando l’azione specifica del PVPP.
Per conoscere meglio i risultati dei test del chiarificante di Vason si può consultare la relazione dello studio in pdf dal titolo “Una Nuova Frontiera Nella Stabilità Ossidativa E Microbiologica Dei Vini Bianchi”.